Avere la giusta mentalità

creare la giusta mentalità

Ora che ho impostato la mia routine e ho chiarito gli obiettivi, dopo avere deciso che lavoro fare e avere stabilito l’impegno necessario, devo arrivare ad avere l’approccio giusto, devo entrare nella corretta mentalità. Insomma, tutte le cose pratiche sono impostate e chiare, ma bisogna farle funzionare!
Alcuni punti in particolare per me potrebbero essere difficili e devo tenerli bene a mente.

Vai già bene così

Quello che so fare va bene per iniziare; ovviamente bisogna sempre tendere al miglioramento, ma so già fare qualcosa, che a qualcuno servirà; quindi non c’è ragione per non partire. Il confronto con altre realtà o altri professionisti può sempre rivelarci che ci manca qualcosa. Ma non ha importanza, la perfezione assoluta non esiste e non dovremmo ambire a trovarla.
Il principio giapponese del wabi-sabi ci dice proprio questo: che nulla è eterno, completo o perfetto. E va bene così.

Non rimandare

La procrastinazione è un enorme problema, ma il nemico vero è rappresentato dalle sue cause. Bisogna capire perché si tende a rimandare e agire su quelle cause: creando un buon ambiente di lavoro, senza distrazioni, garantendosi una piccola ricompensa alla fine di un lavoro; definendo obiettivi piccoli e raggiungibili, che non facciano paura. Nel mio caso l’ultimo consiglio è quello più efficace: i compiti generici e ampi mi atterriscono; se mi prendo dieci minuti per scomporre i lavori in piccoli passi tutto va meglio.

Non ascoltare il tuo lato oscuro

Sembra una cosa un po’ da Cavaliere Jedi, ma è molto reale: tanti problemi nascono solo nella mia testa; mi limito da sola, mi convinco che non ha senso una certa azione o che ci sono troppi ostacoli; questa stessa energia invece dovrei usarla al contrario, per convincermi che posso fare una cosa. La chiave a volte è pensare a che persona sarei se non avessi quel pensiero limitante e poi accorgermi che posso già esserla, basta ignorare il pensiero (il metodo completo è di Byron Katie ed è molto interessante).

Bisogna un po’ soffrire

Non c’è modo di fare qualcosa senza sforzo; anche giocare a pallavolo mi richiede almeno di sudare. Quindi meglio accettare che lo sforzo fa parte dell’attività: sotto forma di impegno nel fare una lavoro che non mi va in questo momento, oppure di difficoltà nell’imparare una cosa nuova, oppure ancora di accettazione di un fallimento.
I fallimenti sono particolarmente ostici: devo imparare a vedere la mia vita come un flusso continuo; un fallimento non è la fine di qualcosa (“ecco, ho fallito, fine dell’impresa”), è un passo. Se sto andando a comprare il pane mica smetto di camminare se inciampo. Se sto tirando a canestro in un assolato pomeriggio di settembre, mica smetto di giocare se non faccio canestro, anzi. Una frase meravigliosa di Niall Doherty: “Fallisci in fretta e va avanti”.
Non si tratta di non fallire: si tratta di capire che non ci si ferma e non ci si vergogna.

Sono sicura che tutti questi pensieri siano molto utili nella vita in generale, non solo nel business. E sono altrettanto sicura che leggerli e impararli a memoria sia inutile se non siamo convinti di volerli fare nostri. Mi rendo conto che deve scattare qualcosa dentro per riuscire a decidere di volere davvero cambiare vita.
In me è scattato qualcosa. Ho una consapevolezza di me stessa che prima non avevo, un senso di possibilità che forse è troppo ottimista, ma che mi nutre. Credo di potere avere una vita diversa; magari non ricca e magari difficile, ma diversa.

Situazione: al momento sono a Valencia (Spagna); mi alzo presto con costanza; ho iniziato a rispondere ad annunci su Upwork; ho avuto alcuni contatti su Italki con possibili studenti, ma ancora nessuna lezione; ho controlli regolari con la mia accountability partner; lavoro ed esploro la città.

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